ArteInMovimento by Daniela Scarel

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Marco Mazzoni, Artista - " C’è un libro sempre aperto per tutti gli occhi: la natura. " (Jean-Jacques Rousseau)

mercoledì 9 novembre 2022

Giotto " Giudizio Universale 1303 - 1305 " Cappella degli Scrovegni a Padova


Nella Cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto (1267-1336) fra il 1303 e il 1305, l’intera parete di fondo, ossia la controfacciata, è occupata da un grandioso Giudizio universale.



Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Affresco, 10 x 8,4 m. Padova, Cappella degli Scrovegni.

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Questo affresco conclude idealmente le Storie che si dispiegano sulle pareti. Sebbene l’ideazione e il disegno generale siano certamente da attribuire al maestro, è stato riscontrato, studiando il dipinto, un ampio ricorso agli aiuti di bottega. Ciò, tuttavia, nulla toglie all’importanza dell’opera, che anzi si rivela assolutamente innovativa. Nonostante il mantenimento di alcune convenzioni (come, per esempio, le diverse scale proporzionali), per la prima volta viene abolita la suddivisione della scena in fasce orizzontali sovrapposte: Giudizio, Paradiso e Inferno sono presentati in un insieme unitario e tutte le figure si muovono nel medesimo spazio. Il Giudizio non è più presentato ma rappresentato, è un vero e proprio “avvenimento”.



Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con Cristo Giudice.

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Cristo Giudice campeggia al centro, circondato da una mandorla iridata, retta da serafini. Esponendo le piaghe della Passione, con l’esplicito gesto delle mani, divide i reprobi dagli eletti. Non siede su un trono ma su una sorta di nube in cui è possibile riconoscere alcune figure simboliche (un orso con vicino un pesce, un centauro, un’aquila con la testa di ragazzo, un uomo con la testa da leone). Queste quattro figure ibride rappresenterebbero la doppia natura umano-divina del Messia (il centauro), la redenzione dell’umanità (l’orso con il pesce), la Resurrezione (il leone), l’Ascensione (l’aquila).




Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con la croce.

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Sotto Gesù, vero spartiacque fra Paradiso e Inferno, è la croce in cui fu giustiziato, strumento di morte divenuto simbolo di redenzione, con ancora i chiodi infissi. La sorreggono due angeli, ma non solo loro: in basso intravediamo i piedi, le braccia e la testa di un uomo, anzi di un omino che si accinge a trasportare un peso che certamente le sue deboli forze, da sole, mai potrebbero sostenere. Ma ecco, appunto, il soccorso divino. «Un piccolo fragile uomo – buon ladrone, cireneo, ciascuno di noi – che si è imbattuto in quell’Uomo, l’ha riconosciuto Dio, gli si è affezionato: porta quindi “il giogo soave, il carico leggero”, nella prospettiva alta della felicità, la cui caparra è – qui e ora – la letizia del centuplo quaggiù”» (R.Filippetti).



Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con la schiera angelica di sinistra e sei apostoli.

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Intorno a Cristo si raccolgono i dodici apostoli, giudici a latere. In alto si organizzano, per file e in due gruppi simmetrici, le schiere angeliche, guidate dagli arcangeli Michele e Gabriele.



Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con la schiera angelica di destra.




Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con Enrico Scrovegni che offre la Cappella alla Madonna.

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In basso a sinistra, i morti, svegliati dalle trombe dell’Apocalisse, escono dai crepacci della terra. Lì accanto, Enrico Scrovegni offre il modellino della sua cappella alla Vergine, la quale è accompagnata da san Giovanni e da santa Caterina d’Alessandria. Più in alto, il popolo di Dio cammina, ordinato e silenzioso, verso il Paradiso.



Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con Giotto e Dante.

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Nel gruppo, la tradizione identifica un autoritratto dello stesso Giotto, riconoscibile per via della berretta gialla calata sulla testa. Dietro di lui, vestito di giallo e con una corona di alloro in testa, l’amico Dante Alighieri.




Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con l’Inferno.

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Nell’Inferno, rappresentato in basso a destra, domina il caos. La mandorla di Cristo sprigiona quattro terribili lingue di fuoco, fiumi infernali in piena che trascinano i reietti negli anfratti sotterranei. Diavoli bestiali sottopongono i disperati a torture atroci, mostrate con tanto realismo (inusitato per quei tempi) da muovere l’osservatore alla compassione.




Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con il supplizio dei dannati. Al centro, Giuda impiccato.

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È un campionario di sadismo: chi viene appeso per i capelli, chi impiccato per la lingua, chi per i genitali (per inciso, mostrati con un realismo sconosciuto alla storia dell’arte sino ad allora). Qualcuno viene impalato in uno spiedo, qualcun altro segato in due. Restiamo sconcertati dal piombo fuso colato in bocca, dalle parti del corpo strappate con le tenaglie. In basso, verso sinistra, riconosciamo Giuda, impiccato e sventrato, con le viscere colanti. Satana, una grossa bestia mostruosa, mastica un dannato che ancora gli penzola dalla bocca, e con le zampe già ne afferra altri due.



Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con il supplizio dei dannati.



Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con Satana.




Giotto, Giudizio Universale, 1303-5. Particolare con un angelo che arrotola il cielo.

Nella Cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto (1267-1336) fra il 1303 e il 1305, l’intera parete di fondo, ossia la controfacciata, è occupata da un grandioso Giudizio Universale.

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Si trova nella parte alta dell’affresco il particolare più mirabile e teologicamente più acuto: due angeli arrotolano il cielo, che da una parte è blu, così come noi lo vediamo, mentre dall’altra parte è rosso, colore dell’Amor di Dio. Lo annuncia il passo dell’Apocalisse: «Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto» (AP 6, 14).

Si chiude il sipario: il tempo (rappresentato da Sole e Luna) e la storia sono arrivati alla fine. Dietro già si scorge la distesa d’oro della Gerusalemme celeste: quello stesso oro che trionfava nei mosaici bizantini e che Giotto non aveva quindi dimenticato e meno che mai rinnegato. Semplicemente, nella sua arte, l’immagine trasfigurata della realtà ultima era stata come coperta dal consistente tappeto della vita reale, teatro (almeno fino all’arrivo del Giudizio) dell’azione divina sulla Terra.

Autore: Giuseppe Nifosi

Giuseppe Nifosì (1964) è storico dell’arte e dell’architettura e docente di storia dell’arte. È impegnato nell’insegnamento e nella divulgazione della storia dell’arte, attraverso pubblicazioni, lezioni e conferenze.



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" Oh vana gloria de l'umane posse!
com' poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l'etati grosse!
Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura: "

canto XI (versi 93-96) del Purgatorio
Dante Alighieri

" Oh gloria vana delle capacità umane! quanto poco rimane verde sul ramo, se non è seguita da età decadenti!
Cimabue credette di primeggiare nella pittura, mentre ora è Giotto il maestro e ha oscurato la sua fama: " 

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